Per alcuni una chimera, per molti possibile nella misura in cui sarà frutto di un impegno veramente compiuto.
Il 40% fissato dall’Italicum diventa necessario facendosi spartiacque tra passato e futuro, l’orizzonte su cui fissare stabilità, credibilità politica e durata naturale degli esecutivi.
Lavorare e lavorarci diventano l’imperativo categorico su cui puntare. Al netto degli insulti proporzionali consegnati dal 4 dicembre ad un’Italia figlia del suo passato partitocratico, pur in assenza di partiti con il profilo di altri tempi ma in presenza di autentiche accozzaglie consacrate dal successo referendario. E da sdoganare con un apposito modello elettorale lontano da venire, per allungare il brodo sino al 2018 con in mezzo il nevralgico congresso del Nazareno.
Dunque, parlare a chi e parlare come ?
Sono questi gli interrogativi cari a chi nel fatidico #40 ci crede eccome. Ripartendo certamente dai sostenitori del SI’ ma verso un campo più largo. Oltre circoli e tessere che da soli non bastano a dare rappresentanza ad una visione, persino limitandola nella sua portata potenziale.
Occhi e sentimenti nuovi, verrebbe da dire. O comunque diversi alla luce di un messaggio complessivo (un paese da cambiare) mal recepito in presenza di una comunicazione che risente di vecchi vizi (fingere di dire e di fare) soprattutto nei territori. Non luoghi di un rapporto più diretto con un insieme da rendere comunità nel valore di una prospettiva. In cui non tralasciare l’assoluta necessità di un ricambio delle classi dirigenti, auspicabile in presenza di valide alternative qualora, però, vi siano realmente.
Traducendo, occorre ripensarsi. Nell’originarietà Dem di un confronto in cui spalancare le porte non solo a nuovi ingressi nelle forme tradizionali della partecipazione politica. Ma in un percorso di ascolto e di confronto in cui, anzitutto, sarà importante apprendere, in una fase in cui un pezzo del PD non depone a favore di una sostanziale apertura richiudendosi e allontanando.
Ora, al netto di tutto e di tanti, mettersi in moto vuol dire essere dei sani agitatori. Col guizzo curioso di una passione da accendere o riaccendere, oltre i limiti di un’ortodossia militante e dei sussulti da Festival de etc. etc. straordinari nella loro capacità di coinvolgere un perimetro, tuttavia, per lo più sempre uguale.
Andare oltre e quasi “leopoldizzare”. Estendendo il clima, lo spirito e la visione di una kermesse permanente ma che diventi l’anima dello stesso PD. Più di quanto non lo sia stata sino ad oggi e nonostante la crescente affermazione della stazione fiorentina anche tra qualche palato più ostile (per capire la Leopolda occorre venire alla Leopolda). Un passaggio importante per ridefinire lo spirito di una proposta che va oltre la fissità di un orientamento di maniera. Ma cuore di un sistema che si rinnova nei linguaggi e nei rapporti, attraverso un legame più stretto e quasi individuale con i soggetti che formano, tutti insieme, una comunità.
Crederci, quindi, è possibile e doveroso. Ma il pallino, al di là di tutti gli interpreti della scena politica, sta in mano non solo (e non tanto) a Renzi ma a tutti noi. Nel doveredi rappresentare l’istanza comune di un paese che ha bisogno di riammirarsi, perchè negli ultimi tre anni, nonostante il molto concluso e per la fisionomia parlamentare, abbiamo visto solo il prologo.