QUANDO IL GATTO NON C’E’ I TOPI BALLANO. FORSE … (“#PERCORSI” 24 febbraio 2019)

E’ fuori dal giro, si suppone. Al punto tale che l’assenza di suoi riferimenti manda fuori di testa gli storici detrattori. Il problema – manco a dirlo – è quello venuto da Rignano con la piena (cit.). Immarcescibile rompicoglioni di consociativi della prima e della seconda ora grosso modo sempre gli stessi. Con qualche new entry a sancire un “rinnovamento” sempre cool tra vecchi, bambini e ricollocandi.
Se le cose dovessero mettersi come si pensa e come si teme (dipende dai punti di vista), il 4 marzo il primo compleanno della sconfitta elettorale sarà celebrato con la consacrazione di una progenie qualificata. Quella vicina al vero vincitore delle ultime politiche, un vinaio ex velista sempre abile a gestire le miserie della politica.
La strada sarà quella del sussulto consociativo in corso di ricostruzione, fino al punto di agognare un centro – sinistra dal trattino sempre più ampio postumo al trionfo abruzzese.
Come si conviene a chi coniò la definizione di “amalgama mal riuscita” nel battesimo del PD, un luogo nuovamente di reduci ed approdo ideale di quanti riprenderanno a sentirsi ex PCI, PDS e DS ed ex DC, Popolari e Margherita. Ovviamente nel segno della celeberrima unità. In attesa che spunti qualcosa di nuovo ma la vedo dura, si accorcia il pensiero lungo di “Siamo Europe”i.
” Evidentemente dissuaso dal fatto che aggregare solo il PD vuol dire semplicemente spostare altrove vizi e virtù dal copyright già depositato. Con buona pace di chi pensava di seppellire il riformismo alla fiorentina per avviarne uno 2.0 .
Aspettando i prossimi sviluppi verso le Europee, già domenica vedremo se certe truppe si saranno ricammellate. Con una spruzzata sociale di chi da poco ha ultimato un altro congresso lungo un anno. Con l’ uomo immagine di una nuova cinghia che se nasce nascerà già sfilacciata, perchè quello più odiato c’è anche quando non c’è, con la capacità di portare tutti a mostrarsi per quello che sono davvero. Per ora miao, che lo squittio non lo so scrivere.

VEDREMO

La situazione è molto chiara: prosegue l’opera distruttiva del Governo, magari pronto all’implosione decisa a tavolino.
Le alternative, però, scarseggiano, pur con tentativi di frenare l’onda populista e, anche,  la sua ala sinistra della risorta spinta consociativa. Che si evince dalle manovre nel congresso Dem in cui non sarebbe improbabile un segretario eletto solo dalle convenzioni. Un gioco al ribasso che poi unirebbe il papabile più accreditato (Zingaretti) con i neo – segretari Landini e Colla. Evitando il passaggio popolare vista la gravità di un momento che “imporrebbe” un PD subito nella pienezza dei suoi ruoli. Tuttavia fissati da un pugno di iscritti ed in deroga definitiva alla vocazione originaria come deriva compagna comanda.
Il combinato disposto formato “cinghia”, è una roba che del resto ha funzionato il 4 dicembre 2016 ed il 4 marzo 2018. Dove emerse l’aurea grillina che ancora investe parti importanti del Nazareno e di Corso d’Italia, con il ritorno alle suggestioni passate intorno al nemico accomunante. Resta da capire se l’attuale maggioranza o l’uomo più odiato per la visione opposta al sistema dei veti e delle rendite consolidate.
Stride, pertanto, l’approccio ipocrita di due luoghi sovrapponibili. Forti dell’attenzione mediatica sui ritorni remoti minimizzando gli scivoloni su certe dichiarazioni “venezuelane” gravi anche nella toppa apparecchiata.
Il punto, perciò, è rendersi conto fino in fondo della situazione. Terribile nella mentalità procurata ovunque, ma per molti indispensabile quale terreno per una controproposta da sopravvivenza conservativa. Che distingue e che lascia tutto come trova, con al massimo qualche dichiarazione di facciata e le eterne piazze che marcano una presenza innocua e passiva. Quella della sinistra consueta, il contrario esatto di un pensiero evoluto anche nella prospettiva di un nuovo modello culturale. Diverso dal vuoto instillato dagli odierni condottieri e da chi vuole esserne il contraltare solo retorico. In pratica una stampella.

SI POTRA’ DIRE ? (“Cartoline Democratiche” 20 dicembre 2018)

Lo slancio recessivo prosegue a grandi passi. Con l’apoteosi che vedremo meglio attraverso gli eventuali aumenti IVA passando per le misure di una manovra mai discussa e figlia del pericolo infrazione vista la stesura precedente.
E’ evidente, però, l’uso che la maggioranza tenterà di farne. Accusando l’UE per fare cassa alle prossime europee e aizzando il popolo (sempre bue e compiaciuto di esserlo) contro gli affamatori di turno. In una logica che avrà il sostegno dei media e di un’italianità media e mediocre che si metterà in scia.
Di fronte a cotanto disastro sarebbe utile manifestare una contrapposizione più netta e lineare, senza le alterazioni congressuali del periodo che distolgono dal vero tema della discussione. Un Paese peggiorato nelle sue basi democratiche (grazie Beppe) ed incapace di andare oltre la sguaiata percezione che diventa verità. Male oscuro che unisce gli italiani allontanandoli dal risveglio da questo incubo.
Nel frattempo anche altrove si cincischia su un congresso utile solo a sistemare i tasselli interni. Dopo mesi di discussioni tendenzialmente inutili che non cambiano la situazione di lavoro e lavoratori, ignorando la necessità di manifestare un dissenso che forse a questo punto non c’è. Almeno stando a come s’è scelto e fatto scegliere due anni fa e lo scorso marzo, redde rationem per azzerare chi stava rompendo il giocattolo delle rendite tanto facili quanto utili solo ai padroni del vapore interno.
Il risultato, perciò, è che al momento a questo governo non c’è alternativa. Non già perché sia il migliore ma perché ovunque l’orizzonte è dettato dallo sguardo ombelicale.
Tanti auguri a tutti …

Renzi sì, Renzi no, Renzi dai, Renzi boom.

Il corteggiamento verso l’ex segretario prosegue. Da un lato da chi ne apprezza le qualità e dall’altro da quanti vogliono chiuderne l’esperienza politica. Con una nuova pagina di fuoco amico a dominare i prossimi mesi nonostante i problemi della nazione.
E’ del tutto evidente, però, che un PD senza Renzi ha le caratteristiche di una deriva diessina o giù di lì. Mancando di visione e di spirito riformista come pure dovrebbe essere in un partito che nacque per cambiare politica e Paese. A cui non basta una forzata unità per dirsi affidabile, soprattutto se tra alcuni persiste l’idea di uno sguardo complice ai Cinque Stelle. I veri promotori – sin dalle origini – della situazione odierna.
In particolare, per il significato che potrebbe assumere, preoccupa il possibile flop alle primarie se saranno, prive di un movimentismo renziano in grado di salvare il congresso. Con il rischio di una bassa affluenza che ridurrebbe il PD ad una mera testimonianza sociale, relegando le primarie al ruolo di abitudine più che di risorsa democratica sullo sfondo dei soliti caminetti.
Tuttavia tornare nel luogo delle contraddizioni è un errore da non commettere, a meno che non vi sia una dichiarazione d’intenti da parte dei vari competitor. Traducibile in una rinuncia alla candidatura e al sostegno incondizionato all’ex Premier, l’unico che ha nelle corde il carisma e la capacità di fronteggiare il periodo tracciando la prospettiva sia in Italia che in Europa.
Non so se davvero potrà mai accadere, ma un ritorno renziano potrebbe compiersi solo a queste condizioni. Con un sostanziale passo indietro di tanti a compimento di una “rottamazione” da promuovere, superandoli, anche nei fatidici quanto inutili territori. Purché ovunque vi sia una chiara consapevolezza del momento senza rinculare nelle pratiche usuali. Quelle che mettono fine ad un’esperienza come quella del Partito Democratico, il luogo, anzitutto, del rimpianto.

SIAMO DI UN ALTRO PD (“Cartoline Democratiche”, 6 dicembre 2018

Cade l’ultimo colosso virtuale: quel Minniti mito di fermezza nel segno del riformismo da amare e da riaffermare. Forse.
Fatti alla mano siamo all’epilogo consociativo. Che si consuma dopo un’ansia da parto sulla sua candidatura ed un repentino dietrofront su motivazioni convincenti tipo Salvini ultras del Camerun. Togliendosi dall’imbarazzo col solito espediente del “tanto è sempre colpa di Renzi”, il divisivo chiamato a disimpegnarsi ma accusato, poi, di impegnarsi troppo poco e – contrariamente alla visione tipica del momento – di restare.
Alla fine una delle ipotesi potrebbe essere pure quella di un ritiro collettivo dopo Richetti (chi ?) e l’ex ministro. Verso una soluzione che bypassi le primarie per giungere ad una scelta istituzionale che usi una figura di pacificazione quantomeno apparente. Secondo lo stile da forza gentile che risponde al profilo del penultimo premier, uno che viene da sinistra ma dal piglio parrocchiale che piace ai cosiddetti moderati figli di un altro tempo. Eredi di una classificazione storica utile quanto il congresso Dem, un calcio in piena faccia che concentra le attenzioni sui poltronifici e non, come si converrebbe, sui problemi di un paese prossimo alla recessione.
In attesa di ammirare gli sviluppi di cotanto suicidio per cui i populisti ringrazieranno sine die, l’epica originaria si dissolve nel nulla. Sacrificando il sostegno dei territori da cui ripartire secondo la più sfigata delle tradizioni (nonostante i cinquecento sindaci oltre ai cento parlamentari pro – Minniti) e le primarie simbolo di partecipazione democratica. Ridotte ad un inutile orpello da nostalgici innovatori.
Se un passo indietro c’è stato è stato quello, prima di tutto, del PD e delle ragioni per cui nacque a volerle ricordare. Immaginando che la domanda di molti ora possa essere solo una: un PD come quello attuale serve ancora a qualcosa o serve solo ad alcuni ?

A proposito di un “preambolo Minniti” (“Democratica”, 16 novembre 2018)

Le difficoltà di un punto d’arrivo unitario

Ci sono spunti di notevole interesse nell’intervento di Stefano Collina sulla figura di Marco Minniti. Per l’approccio sia politico che metodologico di cui dovrebbe dotarsi, affidando l’analisi all’esigenza di un “preambolo” unitario (quand’anche ambivalente nei possibili sviluppi) per la buona riuscita del prossimo mandato Dem.

Resta, tuttavia, qualche dubbio sul senso di questa improvvisa unità a tavolino figlia del
passo indietro degli altri candidati (come sollecitato anche dalla lettera dei sindaci a
sostegno di Minniti) e della forzata maturità di una classe dirigente divisa perché divisiva nella sua natura. Nella ridda di approdi tutti ideali in cui andrebbe risolto definitivamente – quale “preambolo” al “preambolo” – il dilemma se vivere o non vivere un’esperienza stellata. A proposito delle varie prospettive poste dalle altre candidature in campo che, stando all’ottimo Collina, emergerebbero in una sostanziale gestione unitaria. Pur senza venire allo scoperto sino in fondo, un’operazione, questa, che invece dovrebbe provocare, come nel recente passato, il segretario, con tutto ciò che ne conseguirebbe proprio sul piano della tenuta interna.

Entrare, però, nella mente di alcuni maggiorenti Dem è un impegno complesso.
Immaginando che di fronte all’eventualità di un rifiuto non solo politico ad un legame
grillino, si scatenerebbe il consueto attacco per la posta cara a molti.

Dunque la necessità di una decantazione sì dai vecchi schemi, senza recedere dagli istinti maggioritari ritenuti ormai superati. Che, semplificando, significano rispettare le decisioni di un congresso pur non condividendone in toto le posizioni. Verso una sintesi che guardi, prima ancora che al PD, alle esigenze di un’intera nazione che non può rassegnarsi all’assenza di alternative a questo governo. Altro “preambolo” meritevole di attenzione, dove per essere alternativi bisognerebbe aggiungere alla sempre auspicabile unità il “per fare cosa”. Un elemento decisivo su cui si gioca il futuro del PD, senza disdegnare quelle voci nuove che si identificano in forme di partecipazione differenti. Per dare un taglio “civico” ad una passione che non può vivere solo nei circoli o nelle stanze del Nazareno.

E per andare da Tsipras a Macron occorre che prima si scelga da quale parte stare adesso. Una scelta che in tanti faremmo con Minniti, con o senza preambolo.

https://www.democratica.com/focus/pd-minniti-congresso/

La politica umana contro la deriva ignorante (“DEMOCRATICA”, 24 ottobre 2018)

L’intervista di Renzi a Bonolis. I ruoli che si incrociano e la riscossa civile della politica votata all’umanità

Avevo pensato di scrivere altro. Ma come spesso mi capita quando rileggo le mie piccole righe che portano riflessioni a tratti uguali al già detto e già sentito, plano su scelte che si discostano completamente da ciò che reputavo presuntuosamente “indispensabile”.

Riascoltando l’intervista di Renzi a Bonolis con la tranquillità di una visione domestica dopo quella emozionata della Leopolda, un qualcosa è scattato immancabilmente. Dando soddisfazione a quella esplorazione curiosa su ciò che dovremmo essere per affrontare questa lunga traversata democratica ribattezzata “resistenza civile”.

Di fronte due uomini di generazioni differenti perfettamente centrati. Ciascuno col proprio angolo di visuale che deriva da esperienze diverse anche se a tratti simili. Non solo nei meandri di una comunicazione che nei rispettivi mondi diventa un tratto imprescindibile nel bene e nel male. Ma nel cuore di una coscienza che anzitutto è quella di sé. Diventando ispiratori di un concetto di vita che si declina in ogni passione possibile, perché quando il concetto c’è te lo ritrovi tutto ed ovunque.

Mi colpisce, però, l’importanza concessa al tempo ed alla velocità. Croce e dolore di un’era digitale utile ma non definitiva, dove riapprezzare (è un mio punto di vista) il sapore di una lentezza che scavalca la fugacità che opacizza quello che ci circonda, diventando a sua volta un senso della vita pieno ed ineludibile. Un tratto che ritrovo nello spirito dei “comitati civici” tutti da scoprire, con l’invito – perché no – a rallentarne l’impatto mediatico per privilegiarne quello più naturale delle umanità. La prima risposta alla deriva ignorante del momento.

Liberarsi dai fronzoli per cui è necessario gettare tutto in una rete di cui sono evidentemente utente, è una delle risposte ad un populismo che non frena. Che lancia e rilancia con social ed algoritmi pensieri che assimili perché forse non hai il tempo (e la voglia) di elaborarne la portata. In una corsa alla consapevolezza indotta che alla fine si trasforma in un pensiero già pensato da altri, dove al massimo ti adegui per non restare fuori. Senza che nulla appartenga al tuo modo di essere invaso da post, like, tweet e ritweet, in una una mutazione a tutti gli effetti.

L’intervista di Renzi – un rovesciare i ruoli con domande diverse per risposte diverse nel mondo che cambia – assume il tono di una confessione collettiva. In cui i compiti si incrociano, le responsabilità si toccano e si mescolano verso una sintesi che ancora non conosciamo. Ma che certamente lascia intendere come tutto non possa più essere sottoposto all’univocità di un altro tempo ormai ostile anche nel tentativo di recuperarne le sorti. Perchè alla fine se anche, per dirla come Bonolis, ci può essere il piacere di coccolare il proprio passato, il passato è quello che le risposte te le ha già date. Il contrario di una Leopolda che guarda avanti per sua natura.

Ed il compito della politica che resta comunque centrale, si sposta inevitabilmente su un altrove più virtuoso e coinvolgente. Ripensando a John Kennedy e a ciò che noi possiamo fare per il nostro Paese. L’unica citazione che mi concedo nella leggerezza di una visione che continuerà ad affascinare.

https://www.democratica.com/focus/la-politica-umana-la-deriva-ignorante/

E POI ? (“Cartoline Democratiche”, 1 ottobre 2018)

La manifestazione di Piazza del Popolo è riuscita. Con un percorso non proprio lineare partito dall’attacco limitato a Salvini per concludersi, finalmente, coinvolgendo anche Di Maio. Un cambio di paradigma scandito dal segretario scorso (presente fisicamente e con la sua ombra che per fortuna aleggia ancora) più che da quello attuale, tanto per dire chi fa cosa e chi guarda all’unità.
E proprio al grido “unità, unità” il popolo democratico scalda i cuori, anche se non è chiaro per fare cosa di fronte all’intesa grillina tutt’altro che tramontata. Che trapela quando Martina – nel suo intervento d’altri tempi anche nell’accalorarsi – cita (cosa grave e funzionale anche a garantire quelli che stavano a Milano) il Corbyn caro alla “ditta”. Uno che ha sostenuto la Brexit salvo ripensarci, alla faccia dell’europeismo Dem che però vuole la ricostruzione della vecchia sinistra sul mito del momento.
L’auspicio è che adesso non ci si fermi alla retorica da piazza ritrovata, cercando, piuttosto, di dare un senso alle gioie del pienone. Perchè per tutto c’è un giorno dopo, e nella velocità con cui ogni cosa si assimila e si espelle si rischia di esaltare una giornata che lascerà tutto come stava. Dentro e fuori il Nazareno.
Servono, viceversa, toni meno equivoci sul populismo grillino, il perno che tutto determina dopo aver corrotto le coscienze trasformandone percezioni e reazioni. Perchè apparentarsi con questo “esperimento”, vuol dire rinunciare alle ragioni per cui il PD dovrebbe esistere ed anche a molti di noi con il #senzadime per non essere le prossime cavie.
Poi ci sarà tempo e modo per gioire della domenica romana, un po’ più di un assieme di militanti ma un luogo che doveva dirci dove andare. Aspettando un congresso interessante come un calcio in bocca tra zingarettismi stellati, calendismi maldestri ed alternative fin qui eventuali.
Per quanto mi riguarda ci vedremo a Firenze, dove magari troveremo il senso senza le parzialità da parte politica. Ma con la forza di un’universalità che sia quella di una visione che va oltre i contenitori e che dia il tratto della resistenza civile e del futuro. La stessa che a Roma è mancata come purtroppo era prevedibile.
PS: un abbraccio sincero a tutti i partecipanti. Quei “democratici” che, nonostante l’invito ad esserci di Martina (a cui va spiegato che la rete serve eccome), ci sono sempre stati.

“Siamo ripiombati nella preistoria. Per combatterla serve un paradigma diverso” (“DEMOCRATICA”, 27 settembre 2018)

Se continueremo a guardare agli stessi, proseguiremo nei soliti errori

“La povertà è abolita” assomiglia ad uno di quei titoli da poliziesco anni ’70. Con la perentorietà di una giustizia trionfante grazie al commissario paladino che, in tempi moderni, potrebbe tradursi in un vicepremier.

Di Maio, che però non è Maurizio Merli, dice in realtà una roba che rievoca una “efficacissima” manifestazione di bersaniana memoria. Una di quelle improvvisazioni che riscaldano i cuori o lasciano interdetti per cotanta corbelleria. La stessa su cui campa l’esecutivo, immaginando che il vero corredo ad ogni atto non siano le garanzie economiche, ma qualcuno con cui prendersela perché la “copertura” è corta. Come fanno sistematicamente ministri e portavoce, contro i ministeriali che si limitano a rammentare che per spendere (ammesso che un decreto ci sia) servono pure i denari.

Il linguaggio governativo, nel frattempo, è di quelli violenti e pericolosi. Come piace a quel popolo forzato all’odio (e speriamo non alle vie di fatto) come se non esistessero altri sentimenti, pena l’effemminatezza di una nazione che ormai è un bruto tutto muscoli e niente cervello. Una postura che accomuna Lega e Cinque Stelle amici di Silvio nonostante i corteggiamenti edulcoranti che arrivano, verso una parte, dai reduci del cum panis. Perché si sa che la storia è come la Luisa, che inizia presto, finisce presto e di solito non pulisce un certo luogo.

In attesa di capire come procederà l’alleanza “culturale” del 30 settembre dove l’Unione dovrebbe fare la forza, sul tavolo restano i vuoti di una maggioranza che continua a rispondere ai propri mandanti in un clima da pre-implosione. Dove sarà interessante discutere sul the day after che potrebbe riservarci la consueta ricetta tecnica per evitare il peggio, attingendo a qualche figura europea giunta a scadenza o a qualche soggetto che si presterebbe come nella fase costitutiva dell’attuale governo.

Quando sarà e se sarà lo deciderà il buon Mattarella, l’unica garanzia al momento disponibile in assenza di politica vera. Un mezzo che solo qualcuno tende a praticare, trasformandosi nel capro espiatorio buono per tutte le stagioni e per ogni sua esternazione. Anche quando vengono ricordati gli anni delle riforme che sembrano lontani come la preistoria, quella in cui siamo ripiombati per l’esaltante credulità popolare a cui contrapporre un paradigma diverso. Perché se continueremo a guardare agli stessi, proseguiremo nei soliti errori. D’altronde è noto che non esistono più le categorie storiche, insieme, aggiungerei, ai classici elettorati di riferimento. Per sostituire ai revival ideologici lo spessore di idee, valori ed azioni.

https://www.democratica.com/focus/governo-dimaio-salvini-decreto-mattarella/

LA STAGIONE DEI CAZZARI (“Cartoline Democratiche”, 23 settembre 2018)

Tutto è possibile nella stagione dei cazzari. Persino minacciare un ministro ed un ministero come se nulla fosse.
La strategia è molto chiara: alimentare le percezioni da “poteri forti” e da “sistema ostile” per rafforzare la pancia popolare. Aiutati da media che silenziano ogni critica come se fossimo in un regime che per primo occupa l’informazione, con tanto di presidenze consacrate sull’altare della fake – news.
Nei fatti la mutazione antropologica dell’italianità media è servita. Con una nuova “razza” funzionale agli odierni governanti frutto di un esperimento sociale riuscito, dopo aver creato le condizioni sulle umane debolezze per sfruttarne gli aspetti peggiori.
La conseguenza sono l’eccesso nelle reazioni e l’autoesaltazione del pensiero personale sulla controprova di un governo che dice le stesse cose. Un modo per animare le frequenze più basse con l’idea, però, di avere altezze da geni che prima erano incompresi.
Del resto se altrove ci si interroga se fare affari con un pezzo dell’esecutivo (M5S), nulla potrebbe essere diverso da come appare. Limitandosi (tranne alcune eccezioni essenziali) a qualche iniziativa di maniera utile a creare un perimetro su cui realizzare l’altra gamba di un redivivo consociativismo. In attesa, per alcuni, di fare cassa al prossimo congresso Dem.
Normalizzare, però, una forza come quella stellata (della Lega si conosce tutto da anni) diventa un errore che si trasforma in colpa. A cui contrapporre un’idea completamente opposta e capace di penetrare nelle coscienze popolari, un lavoro difficilissimo verso un concetto altro di “dignità” e di “identità” con meno mezzi a disposizione.
La domanda più ovvia, perciò, è cosa sia possibile fare. Con l’intento, anche, di far crescere una nuova classe promotrice che sia più laica e preparata pure negli strumenti utilizzati. Senza scivolare in una conservazione che sarebbe un aiuto formidabile agli attuali governanti, giustificandoli e rafforzandoli nella considerazione popolare.
Ma se cambia l’idea di “nuovo” diventando la peggiore delle restaurazioni, il problema è grave. Dove la cura può essere solo culturale, nel paese che più di altri fatica a migliorarsi attraverso il sostegno della propria gente. Anche se vale la pena provarci, evitando strane commistioni che alla fine negherebbero ogni ipotesi alternativa in un tempo sempre più rapido che per questo va letto con attenzione. Con figure che siano davvero all’altezza e non con i mestieranti che ogni volta rispuntano a tutti i livelli, perché un conto è vivere, un conto è sopravvivere fino al congresso successivo. In mezzo, l’Italia.