SIAMO DI UN ALTRO PD (“Cartoline Democratiche”, 6 dicembre 2018

Cade l’ultimo colosso virtuale: quel Minniti mito di fermezza nel segno del riformismo da amare e da riaffermare. Forse.
Fatti alla mano siamo all’epilogo consociativo. Che si consuma dopo un’ansia da parto sulla sua candidatura ed un repentino dietrofront su motivazioni convincenti tipo Salvini ultras del Camerun. Togliendosi dall’imbarazzo col solito espediente del “tanto è sempre colpa di Renzi”, il divisivo chiamato a disimpegnarsi ma accusato, poi, di impegnarsi troppo poco e – contrariamente alla visione tipica del momento – di restare.
Alla fine una delle ipotesi potrebbe essere pure quella di un ritiro collettivo dopo Richetti (chi ?) e l’ex ministro. Verso una soluzione che bypassi le primarie per giungere ad una scelta istituzionale che usi una figura di pacificazione quantomeno apparente. Secondo lo stile da forza gentile che risponde al profilo del penultimo premier, uno che viene da sinistra ma dal piglio parrocchiale che piace ai cosiddetti moderati figli di un altro tempo. Eredi di una classificazione storica utile quanto il congresso Dem, un calcio in piena faccia che concentra le attenzioni sui poltronifici e non, come si converrebbe, sui problemi di un paese prossimo alla recessione.
In attesa di ammirare gli sviluppi di cotanto suicidio per cui i populisti ringrazieranno sine die, l’epica originaria si dissolve nel nulla. Sacrificando il sostegno dei territori da cui ripartire secondo la più sfigata delle tradizioni (nonostante i cinquecento sindaci oltre ai cento parlamentari pro – Minniti) e le primarie simbolo di partecipazione democratica. Ridotte ad un inutile orpello da nostalgici innovatori.
Se un passo indietro c’è stato è stato quello, prima di tutto, del PD e delle ragioni per cui nacque a volerle ricordare. Immaginando che la domanda di molti ora possa essere solo una: un PD come quello attuale serve ancora a qualcosa o serve solo ad alcuni ?

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